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Giorgia Lupi è una information designer italiana, autrice di Dear Data, un esperimento tra arte e visualizzazione dati nato per focalizzare l’attenzione sugli Small data, cioè i piccoli dati personali, oltre ai Big Data di cui solitamente sentiamo parlare. Per un anno ha tenuto una corrispondenza settimanale con la data designer Stefanie Posavec: ogni settimana ognuna delle due teneva traccia in modo analogico, disegnando su una cartolina, alcuni dati personali (ad esempio il numero di volte in cui si guardava l’orologio durante la giornata; oppure le lamentele). Da questa piccola meravigliosa galleria di datificazione di gesti quotidiani è poi nato il libro. Alcune sue opere sono state esposte al Moma di New York.

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“Big data” è il quarto libro segnalato per la “Biblioteca dei classici della complessità”, al Complexity Literacy Web-Meeting dell’autunno 2020.

Di big data si parla sempre di più: con enfasi, spesso con leggerezza e approssimazione, a volte con un’eccessiva esaltazione o con una strisciante angoscia. E di solito senza una effettiva condivisione del significato che si da a questo fortunato termine, quasi uno slogan, spesso coniugato insieme all’altra parola chiave: privacy.

Articolo di Valerio Eletti

 

 

Le domande

Le domande che ci poniamo, quindi, non riguardano solo il che cosa siano i big data, ma anche e soprattutto: si tratta di una realtà attuale o solo di un argomento di moda? Ci sono casi concreti da conoscere per percepire realisticamente i confini effettivi delle opportunità e dei pericoli legati alla produzione, diffusione, raccolta e analisi delle tracce digitali che lasciamo in giro consapevolmente o meno?

E poi: davvero ci sono dei grandi fratelli – privati e/o pubblici – che si impossessano della nostra vita digitale?

E infine: l’idea di privacy che abbiamo ora lascerà il posto a una sospetta e ambigua post-privacy che non tutelerà più come ora la nostra vita privata più intima?

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