Articolo di Antonella Sbrilli

“Sconvolgiamo la classificazione delle scienze, collochiamo il dipartimento di fisica a fianco di quello di filosofia, la linguistica di fronte alla matematica, la chimica insieme con l’ecologia”, scriveva il filosofo francese Michel Serres una decina di anni fa, sottolineando la necessità di avvicinare, anche topograficamente, campi di studio ritenuti distinti, perché reagissero fra loro, rivelando connessioni, affinità, sviluppi possibili.

Raccogliendo idealmente e creativamente l’invito al reciproco intreccio dei saperi, le curatrici di arte contemporanea Veronica He e Pia Lauro – attive col nome collettivo di dionæa – insieme a sette artisti in risonanza con le riflessioni attuali sulle trasformazioni dei sistemi sociali, hanno organizzato una mostra dal titolo Complessità. sostantivo plurale.

Visitabile fino al 15 luglio 2023, la mostra si tiene nel Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea MLAC della Sapienza Università di Roma, situato nel palazzo del Rettorato, che – per chi lo conosce – è il fulcro urbanistico della città universitaria, intorno al quale si dispongono con ordine le diverse Facoltà.

In questo luogo centrale della “città degli studi” sono esposte le opere di questi sette artisti e artiste, che indicano – ognuna a suo modo – sconfinamenti fra le discipline, collaborazioni fra metodi e pratiche, fra oggetti di indagine e sguardi, mutuati da punti di vista e da esperienze differenti, appunto plurali.

Per esempio: due fotografie festose di studentesse e studenti sono la traccia visibile di una serie di laboratori che l’artista-educatore Valerio Rocco Orlando ha condotto fra Roma e Cuba nel 2011-12, nel progetto Quale Educazione per Marte?
Impegnato da molti anni nella sperimentazione di pratiche alternative di trasmissione delle conoscenze, l’artista mette in circolo pedagogia, scienze della formazione, arte collaborativa, perché – dalla pluralità delle relazioni – emergano caratteristiche che ancora non si distinguono e che possano informare la scuola del prossimo futuro.

Per chi si interessa di complessità, un campo di studi immenso e non riducibile a definizioni lineari, ma soprattutto una condizione in cui siamo tutti coinvolti, i riferimenti che questa mostra propone sono pertinenti, a partire dalla scelta della citazione introduttiva di Edgar Morin, in cui il grande sociologo invita a superare le separazioni, le riduzioni, gli specialismi, le semplificazioni, le decontestualizzazioni, per un nuovo paradigma cognitivo. Termini come emergente, interconnesso, transdisciplinare sono da tempo nel lessico delle indagini sulla complessità, e si ritrovano in pubblicazioni, convegni e ricerche sempre più frequenti e diffuse; è dunque tanto più interessante rintracciarli nella trama delle ricerche artistiche contemporanee in dialogo proprio con i luoghi destinati alla trasmissione dei saperi.

Un’altra serie di opere che sconfina e attraversa territori, collegando il linguaggio fotografico e il viaggio “antropologico”, è quella che l’artista Maria Di Stefano dedica alla località norvegese di Tana Bru, nell’estremo nord della Scandinavia, al popolo indigeno dei Sami e alle compenetrazioni fra luoghi ancestrali e non luoghi turistici.

Altre presenze disciplinari interconnesse si incontrano nella sala del Museo: un palinsesto di documenti storiografici è allestito da Alessandra Ferrini per raccontare la figura di Omar al-Mukhtar, leader della resistenza contro la colonizzazione italiana della Libia, evocato da Gheddafi nella sua prima visita in Italia. Nel video dal titolo Sight Unseen (2019), l’artista usa fonti materiali e documentali, nonché il racconto dello storico Alessandro Volterra, per far emergere occultamenti ed evidenze della narrazione storica: un esempio di complessità sincronica e diacronica.

Il connubio fra arte (illusione, simulazione, poesia) e scienza è proposto da Federica Di Carlo, che spesso collabora con centri di ricerca di fisica e astrofisica. Appoggiata su un piedistallo, in mostra vediamo l’opera Sidereus, una roccia marina anodizzata con cui l’artista “rievoca lo spazio astrale e la nostra connessione con esso, immaginando di poter raccogliere delle vere stelle cadenti”.

Dall’immaginazione dello spazio cosmico si passa alla riflessione sullo spazio virtuale con due grandi smalti su tela di Federica di Pietrantonio. Le due tele fanno parte della serie dal titolo how can i define borders if i dont acknowledge space: alcuni dettagli scenici tratti da videogiochi (un bagno, una balaustra, una doccia) sono prima catturati e manipolati su schermo e poi riprodotti con vividi tratti di pigmento su sfondi sgargianti. Qui gli scambi fra codici, contesti, tecniche, materie – come scrivono le curatrici – invitano a riflettere sulle percezioni degli spazi, pubblici e privati, potenziali e reali.

Con la sua serie di disegni a china dal titolo Appunti per un atto coreografico di depotenziamento del corpo, l’artista Antonio Della Guardia illustra esercizi di rieducazione del corpo che tendano a emancipare gesti, posture, relazioni dalle convenzioni costrittive imposte nei luoghi di lavoro. Il punto di partenza di questa ricerca è il così detto Business Theatre, un tipo di formazione aziendale che usa pratiche teatrali – nate con fini espressivi, creativi, relazionali – per rinforzare strategie di produzione, rapporti di leadership, tassi di competitività, ben lontane dal contesto di origine. Con le sue sagome in tuta nera, i dettagli di mani e occhi, Della Guardia mostra possibilità di muoversi e di toccarsi che sono al contempo bizzarre e semplici, nonsensiche e attuabili.

Caratteristica della mostra è l’assenza di un ordine sequenziale: la visita può cominciare da una qualunque delle opere esposte e seguire tanti percorsi diversi, come in una struttura ipertestuale. E così ultima, ma anche prima o interpolata, c’è l’opera del duo Polisonum dal titolo My persistent quest for Bolero. Si tratta di una installazione sonora che prende spunto dal Boléro di Maurice Ravel, lo rielabora “alterandone il senso armonico e la struttura ritmica” così che due diverse percezioni si intreccino creando un terzo campo di ascolto. L’opera – oltre a risuonare nella sala – è anche una presenza tattile e visiva consistente: i cavi audio disposti a cascata dalla parete al pavimento creano un groviglio, che fa venire in mente l’immagine evocata da Carlo Emilio Gadda per esprimere l’indistricabile maglia delle cose, delle menti, del mondo.

Attraversamenti di confini, contatti diagonali, intrecci: la complessità non smette di forzare i linguaggi a esprimere condizioni nuove, spingendo a riconsiderare il corpus delle discipline, a sfruttare intuizioni di grandi connecteurs del passato e del presente, a seguire il desiderio degli artisti di rendere percepibili e condivisibili le trasformazioni in corso.

Antonella Sbrilli

Riferimenti bibliografici

E. Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione (2014), Milano 2015

M. Riva, Garbuglio Gomitolo Gnommero Groviglio (e Guazzabuglio), “The Edinburgh Journal of Gadda Studies”

A. Sbrilli, Reti e vortici, la complessità in sintesi grafica, Complexity Education Project, 2019

M. Serres, Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere (2012), Torino 2013

T. Philipp and T. Schmohl, Handbook of Transdisciplinary Learning, transcript Verlag, 2023 (presentato a Enhance – Transdisciplinary Workshop in Milan, Politecnico di Milano, 27 e 28 marzo 2023)

INFO
Complessità. sostantivo plurale
Museo Laboratorio di Arte Contemporanea
Sapienza Università di Roma, Palazzo del Rettorato
Piazzale Aldo Moro, 5 
Fino al 15 luglio 2023 – ingresso gratuito