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Articolo di Massimo Conte

 

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Questo articolo è una versione estesa e ipertestuale dell’intervento effettuato nell’evento “Complessità e sostenibilità. Quali transizioni per il mondo del lavoro?” del Festival della Complessità, organizzato dal Complexity Education Project e dalla Fondazione Accademia Maurizio Maggiora il 29 giugno 2022.

La versione inglese dell’articolo è disponibile a questo link.

 

Complessità o Sostenibilità?

 Esattamente 50 anni fa, nel 1972, venivano pubblicati:

  • l’articolo “More is different” del premio Nobel Philip Warren Anderson (nonché tra i fondatori del Santa Fe Institute), che introduceva la riflessione su come a diversi livelli di scala e complessità emergano proprietà tutte nuove, non deducibili dai livelli precedenti. L’insieme è più della somma delle sue parti: perché spesso presenta proprietà che non appartengono ai singoli elementi del sistema, ma che sono emergenti, collettive;
  • il “Rapporto sui limiti allo sviluppo” del Club di Roma, curato tra gli altri da Donella e Dennis Meadows, in cui si facevano previsioni sulle conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. Negli anni, la simulazione del modello World descritto nel testo originale del 1972 è stata aggiornata più volte. Una delle più recenti è di Brian Hayes, che in questo articolo racconta in dettaglio come l’ha realizzata.

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Giovedì 25 novembre, dalle 21 alle 22:30, si tiene il secondo appuntamento del Complexity Literacy Meeting 2021, dal titolo #apprendimento #coevoluzione – Due libri per dialogare di complessità.

L’evento è dedicato alla presentazione di libri che parlano di complessità, organizzato dal Complexity Institute in collaborazione con il Complexity Education Project.

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In questa fine dell’anno 2020 sono usciti diversi articoli che affrontano il tema dell’incertezza.
Di uno di questi, apparso su Internazionale, ci parla Silvia Manca, collegandolo all’esperienza della ricerca artistica e scientifica.

Quando Max Hawkins, ingegnere informatico di Google poi diventato artista, si è reso conto che la sua vita stava raggiungendo un livello di routine abitudinaria troppo preoccupante, ha deciso di aggiungere una giusta dose di imprevisto affidandosi alle nuove tecnologie e di cavalcare in maniera produttiva il valore dell’incertezza.
È così che è iniziata l’avventura del protagonista della ricerca Expecting ourselves  descritta nell’articolo di Internazionale, che si è lasciato guidare da randomici algoritmi di un’applicazione sul suo telefonino per due anni e mezzo per poi raccontare la sua esperienza in una serie di conferenze dal titolo Leaning in to Entropy (Appoggiarsi all’entropia).
È dunque lecito chiedersi, nell’epoca del cambiamento climatico, del Covid-19, del capitalismo della sorveglianza, che si presentano come un vorticoso mare di cambiamenti difficili da gestire, se l’incertezza può generare valore. Secondo lo studio presentato nell’articolo, se da un lato gli esseri umani sono creature abitudinarie caratterizzate da una spinta biologicamente fondamentale a ridurre al minimo l’errore di previsione a lungo termine (“cervello predittivo”), dall’altra sono da sempre stati spinti a ricercare nuove informazioni e a impegnarsi in rituali complessi come ad esempio l’arte e la scienza, il cui ruolo almeno in parte è “rilevare e mettere alla prova con un certo margine di sicurezza le nostre convinzioni più profonde”.

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