Articolo di Massimo Conte

 

Tempo di lettura: 13 minuti

Questo articolo è una versione estesa e ipertestuale dell’intervento effettuato nell’evento “Complessità e sostenibilità. Quali transizioni per il mondo del lavoro?” del Festival della Complessità, organizzato dal Complexity Education Project e dalla Fondazione Accademia Maurizio Maggiora il 29 giugno 2022.

La versione inglese dell’articolo è disponibile a questo link.

 

Complessità o Sostenibilità?

 Esattamente 50 anni fa, nel 1972, venivano pubblicati:

  • l’articolo “More is different” del premio Nobel Philip Warren Anderson (nonché tra i fondatori del Santa Fe Institute), che introduceva la riflessione su come a diversi livelli di scala e complessità emergano proprietà tutte nuove, non deducibili dai livelli precedenti. L’insieme è più della somma delle sue parti: perché spesso presenta proprietà che non appartengono ai singoli elementi del sistema, ma che sono emergenti, collettive;
  • il “Rapporto sui limiti allo sviluppo” del Club di Roma, curato tra gli altri da Donella e Dennis Meadows, in cui si facevano previsioni sulle conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. Negli anni, la simulazione del modello World descritto nel testo originale del 1972 è stata aggiornata più volte. Una delle più recenti è di Brian Hayes, che in questo articolo racconta in dettaglio come l’ha realizzata.

Clicca qui per provare la simulazione

Fonte immagine: Exploring the Limits to Growth with Python

 

Cinquant’anni fa parlare di Complessità e Sostenibilità sembrava avveneristico; oggi, con il futuro che diventa rapidamente presente, e a colpi di crisi – di transizioni – (inimmaginabili?), il pensiero complesso e la riflessione sulla sostenibilità non solo sembrano attuali, ma scopriamo di essere tremendamente in ritardo.

L’educazione alla complessità è come la sostenibilità: non possiamo più permetterci di farne a meno.

 

Orientarsi in un mondo complesso

Partiamo dal termine “Complessità”. Il fabbisogno sempre più emergente, come organizzazioni e come singoli, è il riconoscimento della complessità dei fenomeni che ci troviamo ad affrontare.

Se abbiamo davanti un problema complesso e dagli effetti non prevedibili, non possiamo approcciarlo come se fosse semplice e lineare. Le nostre strategie per gestire quel problema rischierebbero di essere armi spuntate e soprattutto poco efficaci. In altre parole: se sai usare solo il martello, cercherai ovunque solo chiodi; il riferimento qui è al cosiddetto “Martello di Maslow”, o più propriamente al bias da eccessiva dipendenza da uno strumento che si conosce fin troppo bene.

Siamo ormai in un contesto in cui il lavoro è formazione e la formazione è lavoro. I contesti sono ibridi e sfumati: formale e informale, ufficio e casa, e poi ancora, il continuum gruppi di lavoro – comunità di apprendimento – social network.

Fonte: Harold Jarche

 

Consumiamo e scambiamo continuamente informazioni con l’esterno, cercando quella che potremmo definire un’omeostasi informativa, un equilibrio che orienti le nostre scelte e il nostro agire. Ma lo facciamo in un ambiente e in un contesto che cambiano molto velocemente. Quindi la nostra spinta evolutiva è, come direbbe Darwin, all’adattamento. Chi si adatta meglio, sopravvive e si evolve.

A questo si aggiunge una questione fondamentale: il modo in cui ci informiamo e le informazioni a cui accediamo on line dipendono dalla nostra “filter bubble” (Pariser, 2011), ovvero dai risultati di ricerca personalizzati che gli algoritmi dei motori di ricerca e dei social network ci mostrano, in base ai siti che abbiamo visitato e alle preferenze che abbiamo espresso on line in passato (e che sono state registrate, creando una profilazione di ogni utente).

Di filter bubble ne avevamo già parlato in passato, in questa puntata di “Agopunture digitali”, la rubrica dedicata alle visualizzazioni dati interattive, utili per comprendere concetti e dinamiche dei fenomeni complessi.

 

Esplora la visualizzazione dati interattiva sulla Filter Bubble

 

 

Quindi: da un lato assistiamo ad una complessità crescente del mondo intorno a noi. Le ultime crisi di questi anni hanno solo reso più manifeste delle dinamiche, delle transizioni già in atto, a proposito di modelli economici non sostenibili. Pensiamo al Covid-19, alla guerra, alle crisi economiche, all’evoluzione digitale e all’automazione nel mondo del lavoro; e ora stiamo vedendo quella più impattante di tutte, che è quella climatica.

Tra i tanti game interattivi, segnaliamo “Can you reach net zero by 2050?”, realizzato dal Financial Times. Il giocatore si deve immedesimare nel ruolo di decisore pubblico, con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro la soglia di aumento di 1,5 gradi entro il 2050.

Trattandosi di una sfida complessa, l’aspetto interessante dell’esperienza di gioco è che non esiste un’unica soluzione corretta, ma si deve decidere tra vari equilibri e trade-off possibili. Si può scegliere da quale advisor farsi dare consigli per decidere la linea politica da seguire, scegliendo tra: l’attivista ecologista adolescente, l’imprenditore che sta sviluppando nuove tecnologie, l’uomo d’affari che fa da influencer sui leader mondiali, e la donna politica che influenza il cambiamento delle politiche pubbliche.

Ogni scelta politica ha un costo, si parte da un budget di 100 punti che va a scendere; e ha degli effetti differenti sulla quantità di CO2 emessa. Quindi la scelta del decisore è nel trovare un equilibrio tra costi ed effetti. Ad esempio, nel breve periodo (2022-25) si può decidere se chiudere tutte le centrali a carbone del mondo (costo 10 punti), se dismettere le centrali a carbone entro 20 anni nei paesi più ricchi (costo 5 punti), oppure lasciare che il mercato faccia il suo corso e la domanda di carbone diminuisca da sé (costo 2 punti).

 

Gioca a “Can you reach net zero by 2050?”

 

Formazione sostenibile

Per spiegare e comprendere fenomeni collettivi di così ampia portata, che siano biologici o sociali, ci possiamo avvalere del pensiero complesso. Ci servono strumenti cognitivi per leggere la complessità dei fenomeni intorno a noi.

Qui entra in gioco la sostenibilità. Siamo in una transizione continua e accelerata, così come ci ricorda il titolo del Festival della Complessità di quest’anno, dedicato appunto alle “Transizioni”. Ovvero siamo in un sistema che sta cambiando non solo quantitavamente, ma anche qualitativamente: sta facendo un salto di stato, sta cioè superando delle soglie critiche. Per approfondire il tema del Tipping Point, segnaliamo l’esperienza dello Special Interest Group “Metodi e risorse del pensiero complesso” all’interno della Cuoa Complexity Community.

Come ricade tutto questo nel mondo del lavoro? Ci servono competenze complesse per un mondo complesso.

L’approccio riduzionista per la formazione delle competenze è come il martello di Maslow già citato: è uno strumento, ma non può essere l’unico strumento della nostra cassetta degli attrezzi. Un modello di formazione impostato sul semplice trasferimento di conoscenza non è adeguato e non è sostenibile, perché non efficace in tutte le situazioni.

Fonte immagine: Pixabay

 

L’apprendimento diventa di valore se è una costruzione a partire dalla nostra esperienza personale. Se ci aiuta a dare senso al mondo.

Come lavoratori e persone, abbiamo quindi bisogno di una formazione che sia:

  • significativa: come adulti, percepiamo e ricordiamo le informazioni solo se sono rilevanti per noi, se ci aiutano a risolvere problemi, se hanno un impatto emotivo (Shackleton-Jones, 2019);
  • esperienziale: ovvero torna al centro la dimensione soggettiva, il senso che diamo alla nostra esperienza del mondo;
  • ispirata da generosità e apertura: pensate semplicemente a molte delle esperienze che più ci arricchiscono della nostra vita on line. Risorse disponibili gratuitamente, eventi ed esperienze che le persone organizzano e condividono gratuitamente (come ad esempio tutto il festival della complessità, e questo evento);
  • fondata su una interconnessione di saperi, cioè una interdisciplinarità che connette campi e discipline diverse orientate ad una visione comune nella spiegazione di principi emergenti, e una interconnessione di persone, basata cioè una comunità di apprendimento: torna la dimensione emotiva, in cui diamo prima di ricevere (Danzi, Re, 2018).

Serve, ancora, una consapevolezza dell’ecologia dell’azione, come la definisce Edgar Morin (nel suo “Etica”, sesto volume del Metodo): ogni azione sfugge sempre più alla volontà del suo autore nel momento in cui entra nel gioco delle intro-retro-azioni dell’ambiente in cui avviene. Ogni azione che facciamo, in un sistema, provoca una serie di effetti che possono andare oltre quello che possiamo prevedere. Serve una leadership saggia che rifletta su quando è il caso di agire e quando di non agire (Cravera, 2021).

In questo quadro, saper maneggiare “con cura” i principi del pensiero complesso ci aiuta a muoverci in questo contesto che cambia. Saper cioè vedere sia un fenomeno nel suo insieme (il suo comportamento), come ad esempio può essere un’organizzazione, sia le relazioni tra i singoli agenti che si muovono in quel sistema, cioè le reti sottostanti.

Ad esempio, uno stormo di uccelli ha un comportamento emergente, non coordinato da un regista/leader, che è l’effetto sistemico dell’applicazione di tre semplici regole locali:

  1. Separazione: quando gli uccelli si avvicinano troppo, si respingono per evitare collisioni; essenzialmente si allontanano dagli individui che entrano nel loro raggio di collisione.
  2. Allineamento: gli uccelli cercano di allineare la loro direzione alla direzione media di altri individui all’interno di un raggio di allineamento.
  3. Coesione: gli uccelli cercano di stare vicino spostandosi verso il centro del gruppo, per evitare di essere delle facili prede.

Dei comportamenti collettivi degli stormi ne ha parlato anche il Premio Nobel Giorgio Parisi, nel suo recente libro “In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi”. Guarda qui la recensione realizzata dal Complexity Education Project per la “Biblioteca dei classici della complessità”.

 

Prova la simulazione interattiva Flock’n Roll, in cui è possibile modificare i parametri per vedere come cambia il comportamento collettivo dello stormo

Fonte: complexity-explorables.org, Flock’n Roll – Collective behavior and swarming

 

Più in generale per comprendere la complessità abbiamo bisogno di saper riconoscere concetti come feedback, emergenza bottom up, auto-organizzazione, non linearità, adattamento, hub, stati di stabilità, dipendenza dal percorso, punti critici, sistemi annidati, sistemi aperti, imprevedibilità…

Per orientarsi in questa rete di concetti interconnessi, il Complexity Education Project ha curato la traduzione italiana del manifesto “La rappresentazione visiva della complessità“, sviluppato dal CECAN – Centre for the Evaluation of Complexity Across the Nexus.

Clicca qui per scoprire definizioni ed esempi dei 16 concetti della complessità

Fonte immagine: The visual representation of complexity, J. Boehnert, 2018

 

Un approccio lineare causa-effetto non ci è più sufficiente. Possiamo individuare alcuni principi (Davis, Sumara, 2006) che caratterizzano un fenomeno complesso come:

  • L’auto-organizzazione: ci sono elementi di un sistema (che sono interconnessi e interagiscono localmente) che provocano l’emergenza di una dinamica bottom up, dal basso, priva di un controllo centralizzato, in cui si crea una nuova configurazione dotata di proprietà differenti rispetto a quelle dei componenti (per approfondire il tema dell’auto-organizzazione, si rimanda a De Toni, Comello, Ioan, 2011). Abbiamo già citato precedentemente l’esempio degli stormi di uccelli.
  • Le strutture annidate: unità complesse sono allo stesso tempo composte e contengono altre unità che possono a loro volta essere definite complesse; parliamo cioè di sistemi dentro sistemi. Ad esempio: dalle cellule, agli organi, agli organismi, agli ecosistemi.
  • I confini sfumati: le forme complesse sono aperte, nel senso che scambiano continuamente informazione ed energia con l’ambiente intorno a loro. Ma la definizione di cosa è dentro e cosa è fuori un sistema diventa fondamentale.
  • L’adattività: sono strutture che si adattano al contesto e apprendono. L’apprendimento, quando si ha a che fare con un sistema complesso, diventa try&learn, ovvero: perturbo un sistema che non posso prevedere, vedo come risponde, apprendo. Questo vale molto anche all’interno delle organizzazioni e delle sfide dei singoli. Spesso abbiamo a che fare con problemi che non sono definiti. Saper formulare la domanda giusta diventa la vera competenza, prima di trovare le risposte.

Il focus non è più quindi sugli elementi (sugli atomi, sui nodi di una rete) ma sulle relazioni tra gli elementi, e sulle dinamiche, sui comportamenti emergenti, sulle qualità che sono del sistema senza esserlo dei singoli agenti. Ad esempio la coscienza, intesa come consapevolezza di sé, è una proprietà emergente. I singoli neuroni non sono consapevoli, ma il sistema della mente, nel suo complesso, fa sì che noi lo siamo. More is different, come diceva Anderson. Cambiando livello di scala, emergono nuove proprietà.

 

Complessità e Sostenibilità

In sintesi: la complexity education, la formazione al pensiero complesso, va di pari passo con la sostenibilità. Il tema non è più se ci serve, ma piuttosto se possiamo ancora permetterci di farne a meno.

Punto di arrivo per il mondo del lavoro: il futuro è già passato? Stiamo progettando e investendo oggi in quello che sarà presente tra qualche anno?

Jane McGonigal, game designer ed esperta di scenari futuri, nel suo ultimo libro racconta della simulazione Superstruct che aveva creato nel 2008 immaginando il futuro da lì a 10 anni, per mappare le conseguenze economiche, politiche, sociali ed emotive di una minaccia globale. La simulazione era ambientata nel 2019, e le quasi diecimila persone che parteciparono al gioco si trovarono a fronteggiare cinque diverse minacce, tra cui anche un’epidemia globale dovuta a un ipotetico virus respiratorio. Ai giocatori era stato chiesto di immaginare come si sarebbero sentiti e cosa avrebbero fatto della loro vita durante questa epidemia in rapida diffusione: come sarebbero cambiate le loro abitudini? Quali interazioni sociali avrebbero evitato?

McGonigal racconta anche che quando nel 2020 è scoppiato il Covid, le persone che avevano partecipato a quella simulazione nel 2008 hanno dichiarato di essersi sentite emotivamente più preparate, perché nella simulazione avevano già immaginato di portare per settimane la mascherina o a limitare le interazioni.

 

Clicca qui per saperne di più su Superstruct, una simulazione multiplayer che nel 2008 provava a prevedere di cosa ci sarebbe stato bisogno dopo 10 anni per rispondere alle nuove crisi globali

Fonte immagine: Institute for the future

 

In altre parole: il futuro ci spaventa, solo se non siamo preparati. Ma anche se non sappiamo esattamente cosa succederà (anche se, come abbiamo visto, il rapporto del Club di Roma sui possibili disastri ecosistemici dovuti ad una crescita non governata è esattamente di 50 anni fa), possiamo prepararci sapendo che abbiamo bisogno del pensiero complesso per modificare ed essere più efficaci nel nostro modo di vedere e agire con un approccio complesso. Con una maggiore consapevolezza sistemica degli effetti delle nostre azioni.

E quindi arriviamo alla formazione: non potrà che essere continua, situata, basata su questo cambio di visione che passa dall’ego-sistema all’ecosistema.

Per saperci muovere in contesti che cambiano così rapidamente servirà sempre più un cambio di mentalità (McGowan, 2020) incentrato su:

  • la learning agility (cioè saper apprendere e disapprendere),
  • l’adattabilità, cioè saper navigare nell’ambiguità e in problemi non strutturati,
  • le capacità relazionali, come empatia e intelligenza sociale,
  • l’agency, cioè la motivazione ad agire e l’auto-consapevolezza.

La velocità del cambiamento ci chiede una grande capacità di adattamento. Il tempo dell’apprendimento, il lifelong learning, si è dilatato, perché l’obsolescenza delle nostre competenze è aumentata (Weise, 2020). Diventiamo specialisti in una determinata disciplina nel nostro percorso di studi nei primi 20-30 anni della nostra vita, ma serve allo stesso tempo essere trasversali, imparare ad imparare.

L’automazione (prima di funzioni più fisiche, ora sempre di più cognitive) potenzierà le nostre attività, e sposterà verso attività più creative il nostro lavoro. Quello che può essere automatizzato, sarà automatizzato.

Richard Baldwin nel 2020 ha iniziato a parlare di rivoluzione “globotica”, intesa come sintesi:

  • da un lato della globalizzazione, poiché le tecnologie che rendono possibile lo smart working aprono il mercato del lavoro a talenti di tutto il mondo: i posti di lavoro finora sicuri dei white collar, che sono stati alla base della prosperità delle classi medie nei paesi ricchi, si aprono ad una competizione internazionale non più vincolata dalla presenza fisica,
  • e dall’altro della robotica, intesa come automazione e intelligenza artificiale, che sta rimodellando le nostre vite a ritmi travolgenti.

Questo cambiamento di paradigma del mondo del lavoro è una sfida: può comportare cioè sia rischi, sia opportunità. Può erodere mansioni ripetitive, e aprirci ad un mondo di nuovi lavori. Basta pensare agli esempi di produzione automatica di testi realizzati con GPT3, o ai generatori di immagini a partire da input testuali come Midjourney, basati su sistemi di Intelligenza Artificiale. Frontiere tra ciò che è lavoro umano e ciò che potrebbe essere automatizzato si sgretolano a velocità incredibile, sotto i nostri occhi. 

 

Il tema di sostenibilità della formazione è duplice: da un lato l’educazione continua deve essere sempre più diffusa, modulare, accessibile, flessibile (perché studieremo mentre lavoreremo, sia per upskilling che reskilling); dall’altro, questa formazione continua non può essere solo una responsabilità del singolo (il riferimento è ai cambi di percorsi di carriera e del rischio di finire fuori dal mercato del lavoro).

La formazione continua e la sua progettazione nella vita delle persone dovrebbe essere essa stessa reticolare e non più lineare. Evolvendo insieme al contesto, alle necessità e agli interessi del singolo, delle organizzazioni e della società. Cercando nuovi equilibri tra vita e lavoro, perché l’identità dell’individuo non si esaurisce nella prospettiva dell’organizzazione, ma si estende. Torniamo a quei confini sfumati già citati. Lavoro, apprendimento, esperienza. In una parola sola, transizioni.

 

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Riferimenti bibliografici

P. W. Anderson, More Is Different: Broken symmetry and the nature of the hierarchical structure of science, Science. 4 Aug 1972. Vol 177, Issue 4047.

R. Baldwin, Rivoluzione globotica. Globalizzazione, robotica e futuro del lavoro, Il Mulino, 2020.

M. Ceruti (a cura di), Cento Edgar Morin, 100 firme italiane per i 100 anni dell’umanista planetario, Mimesis Edizioni, 2021.

A. Cravera, Allenarsi alla complessità. Schemi cognitivi per decidere e agire in un mondo non ordinato, Egea editore, 2021.

O. Danzi, G. Re, Community manager. Dietro le reti ci sono le Persone, Franco Angeli, 2018.

B. Davis, D. Sumara, Complexity and Education: Inquiries Into Learning, Teaching, and Research, Routledge, 2006.

A. F. De Toni, L. Comello, L. Ioan, Auto-organizzazioni. Il mistero dell’emergenza dal basso nei sistemi fisici, biologici e sociali, Marsilio, 2011.

A. Maslow, The Psychology of Science: A Reconnaissance, 1966.

J. McGonigal, Immagina. Giochi, scenari e simulazioni per prepararsi al futuro e coltivare l’ottimismo urgente, ROI Edizioni, 2022.

H. E. McGowan, C. Shipley, The Adaptation Advantage: Let Go, Learn Fast, and Thrive in the Future of Work, Wiley, 2020.

D. Meadows, D. Meadows, J. Randers, W. Behrens, The Limits to Growth: A report for the Club of Rome’s project on the predicament of mankind, 1972. Nuova edizione italiana: “I limiti alla crescita. Rapporto del System Dynamics Group del MIT per il progetto del Club di Roma sulla difficile situazione dell’umanità”, 2018.

E. Morin, Il metodo 6. Etica, Raffaello Cortina, 2005.

E. Pariser, The Filter Bubble: What The Internet Is Hiding From You, Penguin Books, 2012.

G. Parisi, In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi, Rizzoli, 2021.

N. Shackleton-Jones, How People Learn. Designing Education and Training that Works to Improve Performance, Kogan, 2019.

M. R. Weise, Long Life Learning: Preparing for Jobs that Don’t Even Exist Yet, Wiley, 2022.