In questa fine dell’anno 2020 sono usciti diversi articoli che affrontano il tema dell’incertezza.
Di uno di questi, apparso su Internazionale, ci parla Silvia Manca, collegandolo all’esperienza della ricerca artistica e scientifica.

Quando Max Hawkins, ingegnere informatico di Google poi diventato artista, si è reso conto che la sua vita stava raggiungendo un livello di routine abitudinaria troppo preoccupante, ha deciso di aggiungere una giusta dose di imprevisto affidandosi alle nuove tecnologie e di cavalcare in maniera produttiva il valore dell’incertezza.
È così che è iniziata l’avventura del protagonista della ricerca Expecting ourselves  descritta nell’articolo di Internazionale, che si è lasciato guidare da randomici algoritmi di un’applicazione sul suo telefonino per due anni e mezzo per poi raccontare la sua esperienza in una serie di conferenze dal titolo Leaning in to Entropy (Appoggiarsi all’entropia).
È dunque lecito chiedersi, nell’epoca del cambiamento climatico, del Covid-19, del capitalismo della sorveglianza, che si presentano come un vorticoso mare di cambiamenti difficili da gestire, se l’incertezza può generare valore. Secondo lo studio presentato nell’articolo, se da un lato gli esseri umani sono creature abitudinarie caratterizzate da una spinta biologicamente fondamentale a ridurre al minimo l’errore di previsione a lungo termine (“cervello predittivo”), dall’altra sono da sempre stati spinti a ricercare nuove informazioni e a impegnarsi in rituali complessi come ad esempio l’arte e la scienza, il cui ruolo almeno in parte è “rilevare e mettere alla prova con un certo margine di sicurezza le nostre convinzioni più profonde”.

L’opportuna e consapevole integrazione di una giusta dose di “incertezza attesa” – ovvero che è già stata prevista da un modello mentale (generativo) esistente – può generare dunque valore cavalcando in modo produttivo l’elemento di novità, potenziando le capacità di elaborazione predittiva e sviluppando strategie efficaci nella gestione di situazioni complesse ad alto tasso di imprevedibilità.

Gli “algoritmi casualistici” di Hawkins infatti, esattamente come le attività artistiche, ingegneristiche e scientifiche, alcune pratiche meditative e persino – secondo gli autori della ricerca – l’uso consapevole di sostanze psichedeliche, sono tutte attività che possono essere definite come dei veri e propri processi di ampliamento della fenomenologia percettiva. Tali processi intervengono sul cervello predittivo ri-educando le nostre aspettative di permanenza più consolidate e vincolanti, rompendo il circolo vizioso del rafforzamento di pre-giudizi (effetto che Eli Pariser ha definito filter bubble) e consentendo a nuovi modelli ed esperienze di emergere e di formulare nuove ipotesi sul mondo e su come ci relazioniamo ad esso.

In questa attività di apertura del processo di filtraggio della “valvola riducente” (che setaccia l’enorme quantità d’informazioni provenienti dagli input sensoriali riducendole a un flusso minimo che crea un’interfaccia adattiva con l’ambiente) si individuano due fasi: innanzi tutto i modelli predittivi e le relative aspettative vengono portati alla luce e trasformati in oggetti osservabili, in codici simbolici comunicabili per noi stessi e per gli altri; e poi, una volta che i nostri modelli si presentano come oggetti di osservazione, intervengono le attività citate per mettere in discussione e persino rompere quei modelli in maniera produttiva.

L’arte, ad esempio, si presenta come una di queste attività di rivelazione e demolizione di modelli. Un modo per “concretizzare e mettere alla prova le nostre ipotesi di fondo su noi stessi, sul mondo e sull’altro, in un quadro che si distacca dalle preoccupazioni quotidiane e quindi non viene vissuto come minaccioso, anche se è sovversivo” (ancora una citazione dall’articolo di Internazionale).
Il cervello predittivo si aspetta il controllo e, quando fallisce, fa partire l’apprendimento aprendo l’essere umano all’a-venire.

Silvia Manca  

In chiusura, una citazione:

“Sono solo dei pezzi. E comunque fu la scacchiera a colpirmi. Esiste tutto un mondo in quelle 64 case.
Mi sento sicura lì. Posso controllarlo. Posso dominarlo. Ed è prevedibile”.
The Queen’s Gambit

e i riferimenti:

L’articolo Il valore dell’incertezza è uscito nella rivista settimanale Internazionale n. 1386, anno 28, 27 nov/3 dic 2020, pp. 48-54

Il progetto di ricerca postdottorato Expecting ourselves finanziato dal consiglio europeo della ricerca, è a cura di A. Clark, professore di filosofia cognitiva all’università del Sussex, G. Deane, dottorando alla school of philosophy dell’università di Edimburgo, M. Miller, filosofo cognitivo britannico e K. Nave, dottoranda in filosofia all’università di Edimburgo.

Sul ruolo dell’arte nel far emergere nuovi modelli di esperienza e gestione di realtà complesse ad alto contenuto di ambiguità ed incertezza si veda Arte e complessità a cura di P. L. Capucci, S. Simoni, Noema ed., Ravenna, 2018

A proposito di come l’A.I. possa intervenire nei processi di modifica della percezione del mondo si veda: http://manovich.net/index.php/projects/the-aesthetic-society e L. Manovic, L’estetica dell’intelligenza artificiale. Modelli digitali e analitica culturale, a cura di V. Catricalà, Sossella ed., 2020 (presentato al Complexity Literacy Web Meeting 2020 del Complexity Institute).