di Massimo Conte

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La versione inglese dell’articolo è disponibile su Medium, a questo link.

“È la rete bellezza, e tu non puoi farci niente. Niente!” 

Per parlare della diffusione del Coronavirus 2019-nCoV, ormai principale argomento di discussione in tutti i media mondiali, partiamo parafrasando il celeberrimo Humphrey Bogart nel film L’ultima minaccia.

Le tante reti di cui facciamo parte (e che rendono possibili commerci e affari nel mondo globalizzato) hanno espanso le nostre possibilità. Ma anche quelle dei virus: attraverso una rete possono viaggiare tanto le persone e le informazioni, quanto appunto gli agenti patogeni.

Dall’analisi delle prime settimane di una crisi che è diventata rapidamente globale, emergono due livelli di lettura:

  1. il riconoscimento e la gestione del fenomeno biologico;
  2. la narrazione e la percezione pubblica del fenomeno stesso.

Analizzati questi due aspetti, cercheremo poi di capire come la visione sistemica della scienza della complessità e della scienza delle reti possa aiutarci a comprendere e interpretare i fenomeni globali di cui siamo spettatori attivi.

1. I fatti: l’epidemia biologica

Reti di propagazione

Partiamo da una questione “topologica”: i virus si trasmettono attraverso vettori, ovvero soggetti che si muovono nel tempo e nello spazio e consentono di transitare da un soggetto malato ad uno sano. La trasmissione di un’epidemia dipende quindi dalla rete di trasmissione, cioè di contatti tra persone sane e infette. Ad esempio, la terribile peste nera Yersinia pestis del 1300 ci mise alcuni anni a propagarsi dall’Asia, da dove gli storici ipotizzano iniziò il contagio, fino all’Europa.

Fonte immagine: wikipedia

La storia dello stesso contagio potrebbe essere rappresentata sotto forma di mappa, dove i nodi sono le città contagiate, e le linee le città incubatrici, ovvero quelle con cui le prime erano collegate.

Fonte immagine: Nature, “Network theory may explain the vulnerability of medieval human settlements to the Black Death pandemic”

Ricorda Barbara Gallavotti che la spaventosa epidemia di peste venne portata in Europa dall’odierna Crimea nel 1347, probabilmente da genovesi che tentavano di fuggire al morbo. In seguito la peste si diffuse nel resto del continente favorita proprio dallo spostamento dei tanti che speravano di sottrarsi al male.

Oggi le cose vanno molto diversamente, grazie all’interconnessione globale dei trasporti del mondo in cui viviamo. Come mostra il New York Times, nel 2020 la Cina ha circa quattro volte più passeggeri di treni e aerei rispetto ai tempi della diffusione della SARS (2002). In altre parole, è maggiormente interconnessa. Una rete di trasporti più diffusa e capillare aumenta il rischio di contagio, nel caso di un virus che si trasmette attraverso il contatto personale.

Fonte immagine: https://www.nytimes.com/interactive/2020/world/asia/china-coronavirus-contain.html

 

Sotto questo aspetto, una lettura interessante per capire come si propagano e come è possibile prevedere la diffusione delle malattie è “Charting the Next Pandemic. Modeling Infectious Disease Spreading in the Data Science Age”, testo scritto (tra gli altri) da Alessandro Vespignani, attualmente Direttore del Network Science Institute alla Northeastern University di Boston, e grande esperto dell’applicazione della scienza delle reti all’epidemiologia.

Il libro fornisce un’introduzione alla modellizzazione di sistemi computazionali complessi per la diffusione globale di malattie infettive. I recenti progressi nella scienza computazionale e la crescente disponibilità di dati del mondo reale stanno rendendo possibile lo sviluppo di scenari realistici e previsioni in tempo reale sulla diffusione globale di minacce emergenti per la salute.

Dato un insieme di condizioni iniziali per lo scoppio locale di un nuovo patogeno potenzialmente pandemico, la cronologia dell’arrivo dell’epidemia in ciascun paese è determinata principalmente dalla rete di mobilità umana che accoppia diverse regioni del mondo.

Fonte immagine: Pastore y Piontti, Perra, Rossi, Samay, Vespignani, “Charting the Next Pandemic”

Ad esempio quest’immagine è lo scenario previsionale di diffusione di un’ipotetica influenza pandemica che scoppiasse a Barcellona. Il nodo centrale è appunto l’aeroporto di Barcellona e quelli circostanti sono gli hub principali direttamente collegati. Il colore indica il tempo, cioè la velocità di diffusione: più il colore è scuro, prima avverrà il contagio.

Da qui l’importanza di un approccio globale nella valutazione delle minacce emergenti per la salute, per poter intercettare e combattere tempestivamente la possibile evoluzione della prossima pandemia.

 

Dati e tempo

Come per i terremoti, in base alla cui magnitudo stimiamo i danni, anche per la gestione delle epidemie i dati sono fondamentali per fare previsioni.

Ancora Vespignani, stavolta in “L’algoritmo e l’oracolo” spiega come per il virus Ebola, il suo team ha potuto predire l’evoluzione dell’epidemia con largo anticipo, usando mappe precise al km2  per elaborare le previsioni di diffusione. Ma per fare questo servono dati; tanti, precisi e subito. Esempio in un campo completamente diverso: sempre utilizzando modelli computazionali, ma avendo a disposizione dati aggiornati e continui, negli ultimi anni è stato più volte possibile indovinare i risultati dei talent show, basandosi sui dibattiti e gli hashtag presenti sui social.

 

C’è anche chi ha pensato di eliminare una malattia sterminando la specie vettore, rilasciando nell’ambiente zanzare sterili create in laboratorio. È l’obiettivo del progetto Target Malaria, l’organizzazione no profit finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation. Tuttavia, come racconta Massimo Sandal ne “La malinconia del mammut” questi tentativi di editing genetico sono controversi, perché eliminare completamente una o più specie di zanzare potrebbe portare a conseguenze ecosistemiche impreviste e imprevedibili: la scomparsa delle zanzare potrebbe far crollare il numero di uccelli migratori che se ne nutrono e le specie di pesci che si nutrono delle larve, con ulteriori effetti su fauna e flora di un determinato sistema naturale.

 

2. Il racconto: l’infodemia

Il comportamento del governo cinese nella gestione delle prime fasi della crisi ha delle analogie con quanto fece l’apparato del partito comunista russo a Chernobyl: rigidità e incapacità di riconoscere il problema iniziale, quasi fino alla totale rimozione dell’evento, con l’illusione di poter controllare le informazioni; successiva presa di coscienza, con prove di incredibile efficienza dopo. Le scene della deserta Wuhan messa in quarantena ricordano molto l’evacuazione di massa avvenuta a Prypiat.

Come raccontato nella serie TV Chernobyl, quando c’è un evento inaspettato di crisi (un “cigno nero”, direbbe Taleb) è fondamentale:

  • riconoscere tempestivamente l’evento;
  • predisporre una risposta che:
    • metta in salvo la popolazione;
    • mitighi il rischio;
  • gestire e comunicare la crisi.

Giancarlo Manfredi, nel suo agile libro Infodemia. I meccanismi complessi della comunicazione nelle emergenze, sostiene che sebbene oggi esistano protocolli per la gestione del contagio, in situazioni di crisi prima ancora del rischio sanitario, quello principale è la possibile “infodemia”, cioè la diffusione virale di informazioni false, parziali o erronee in grado di causare il crollo dei rapporti nella società civile.

Di fatto, come si sta sperimentando in questi giorni con il Coronavirus 2019-nCoV, insieme all’epidemia virale-biologica (che principalmente ha colpito – dati aggiornati al 7/2/2020 – quasi soltanto pazienti cinesi, come indicato dai preziosi report quotidiani della World Health Organization) cresce esponenzialmente un’epidemia informativa.

Fonte immagine: WHO, report del 7/2/2020

Le dimensioni globali del fenomeno hanno ormai superato i “normali” criteri di notiziabilità, condizionati dalla prossimità dell’evento: un disastro che coinvolge un minor numero di persone ma avviene in un luogo geopoliticamente o culturalmente vicino è più notiziabile di un evento analogo accaduto più lontano.

Questi criteri sono saltati con la sovraesposizione mediatica del Coronavirus 2019-nCoV: la percezione del rischio dovuta alla trasmissibilità e impalpabilità del virus ha fatto sì che la Cina sembrasse più vicina che mai. Viene a mancare quindi qualsiasi questione di sensibilità territoriale, per cui un evento percepito come lontano non fa notizia. Ma quando l’evento lontano geograficamente viene (iper)percepito come un rischio che potrebbe avere una conseguenza per il pubblico locale, la priorità cambia.

 

Nella percezione del rischio pandemico veicolato dai media emergono almeno due aspetti chiave:

  • l’isteria di massa per la novità, che potremmo chiamare “effetto Welles”, con riferimento al radiodramma “La guerra dei mondi” diretto e interpretato da Orson Welles nel 1938, con la narrazione dell’invasione aliena immaginata da H. Wells nell’omonimo romanzo (anche se il “mito” del panico di massa provocato dalla radio è stato nel tempo più volte oggetto di dibattiti);
  • l’attesa crescente, cercando i più piccoli segnali di presenza di un nemico non ancora arrivato ma profondamente temuto, che potremmo definire “effetto Bastiani”, con chiaro riferimento alla Fortezza Bastiani de Il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, all’interno della quale il protagonista Giovanni Drogo aspetta il nemico a lungo raccontato ma ancora mai visto.

Nella narrazione ridondante e dai toni drammatici delle settimane tra Gennaio e Febbraio 2020, abbiamo sentito raccontare di una pandemia globale ormai inesorabile e inarrestabile. La paura dell’evento (amplificata dalla sovraesposizione nei media) precede l’esperienza dell’evento stesso, che attualmente in Europa è ancora statisticamente marginale (al 7/2/2020 soltanto 270 casi su 31481 sono stati riscontrati fuori dalla Cina).

Fonte immagine: WHO, report del 7/2/2020

Si pone il tema della dispercezione di un evento rispetto ad un ambito di cui non si conosce abbastanza. La giornalista scientifica Barbara Gallavotti nel suo libro “Le grandi epidemie, come difendersi. Tutto quello che dovreste sapere sui microbi” ci ricorda che solitamente i microbi si evolvono più velocemente del nostro sforzo di contrastarli, e che storicamente come umani abbiamo sempre perso. Soltanto nell’ultimo secolo abbiamo messo a punto strumenti in grado di proteggerci dalle infezioni che hanno sterminato i nostri antenati: principalmente vaccini e antibiotici.

Nei secoli, è stata tante volte l’Europa a portare il contagio là fino a dove si andavano allargando le sue conquiste. Come spiega Jared Diamond in Armi, acciaio e malattie, nel 1500 le popolazioni amerindie furono sterminate dai virus (vaiolo, tifo, influenza, difterite, morbillo) portati dagli europei conquistatori. Insieme alle conoscenze tecnologiche legate alle armi da fuoco, furono le epidemie a dare un vantaggio imbattibile agli europei.

 

3. La visione complessa: cerchiamo di capire meglio di cosa stiamo parlando e come possiamo interpretare i fenomeni

Reti: quando il gioco si fa serio

Aggiungiamo un ulteriore passaggio che ci consente di arrivare al tema centrale di questo articolo: la necessità di una maggiore divulgazione e conoscenza dei sistemi complessi e delle reti.

Il  Coronavirus 2019-nCoV è un virus che ha compiuto uno Spillover, cioè che ha fatto un salto di specie, passando dagli animali all’uomo. Essendo un “nuovo” virus per gli umani, può diffondersi attraverso la rete di soggetti “suscettibili” di contrarre questa infezione respiratoria.

Ma concretamente, come si diffonde un virus? Quali modi esistono per limitarlo? Quali strategie possono adottare gli attori responsabili della salute pubblica?

Vediamo ora insieme dei game e delle simulazioni che consentono di comprendere in che modo i virus attaccano (e possono essere combattuti) attraverso un approccio basato sulle reti.

 

L’approccio anti-vaccinista, frutto di polemiche e contrasti sociali e politici negli ultimi anni in Italia, si frantuma ora rispetto al dilagare di eventi di portata globale, davanti ai quali diventa difficile sostenere la libertà di decidere se vaccinarsi o meno, in base al rischio/beneficio individuale. I contagiati di Wuhan probabilmente avrebbero pochi dubbi in proposito, se fosse possibile avere disposizione un vaccino (per il quale potrebbero servire invece molti mesi).

VAX! è un game on line sulla prevenzione di epidemie. La rete che si visualizza è quella di possibili soggetti a rischio contagio. Ogni nodo rappresenta una persona; ogni linea è la connessione tra due persone che entrano in contatto. In altre parole, il reticolo sociale di incontri reali di un soggetto.

Fonte immagine: game VAX!

Nel gioco (che consigliamo caldamente di provare, dopo aver compreso le regole) ci si immedesima in un dirigente sanitario con vincoli di risorse e tempo. C’è la possibilità di somministrare cinque dosi di vaccino, cioè eliminare cinque nodi dalla rete di soggetti a rischio, semplicemente cliccando sul relativo nodo. Si hanno cioè cinque mosse di vantaggio rispetto all’epidemia che sta per arrivare. Una volta individuato il virus, sarà una lotta contro il tempo: la velocità di propagazione attraverso le reti rischierà di rendere imprendibile il virus. Solo se ci siamo mossi per tempo, conoscendo le proprietà delle reti e individuando i nodi a maggior rischio, potremo contenere il danno.

 

Per comprendere meglio i meccanismi sottostanti alle vaccinazioni è invece possibile interagire con “I herd you. How herd immunity works”, una delle tante pagine interattive presenti su Complexity Explorables, sito che offre modelli interattivi per comprendere il funzionamento dei sistemi complessi.

Fonte immagine: Complexity explorables

L’immunità di gregge è quel fenomeno emergente di un sistema-rete, grazie al quale un individuo non vaccinato (magari perché non vaccinabile) può comunque essere protetto se fa parte di un gruppo con un tasso sufficientemente alto di individui vaccinati. Questo perché se le persone con cui entra in contatto sono vaccinate, riduce le sue probabilità di entrare in contatto con il virus.

Nel simulatore è possibile:

  • vedere l’evoluzione nel tempo di un virus che si diffonde in un gruppo (sulla sinistra);
  • impostare il tasso di trasmissibilità e il tasso di diffusione del vaccino (sulla destra).

Il simulatore è dinamico, in tempo reale si possono variare i parametri e vedere cosa succede. Diventa così tremendamente concreto e più comprensibile il concetto di “diffusione” di un’epidemia.

 

 

Infine, per sperimentare di persona e insieme ad altri amici cosa significa combattere una pandemia globale, si può giocare a Pandemic: è un gioco da tavola cooperativo, in cui tutti i partecipanti fanno parte di un’equipe chiamata a salvare l’umanità da quattro epidemie globali.

Immagine del tabellone di gioco di Pandemic

Il tabellone mostra una cartina del mondo, che potrebbe ricordare il più famoso Risiko: in questo caso, tuttavia, comprendere e usare a proprio vantaggio le proprietà delle reti può fare la differenza tra la vita e la morte. Infatti, nel momento più critico del gioco, può scoppiare un focolaio di un’epidemia in una città, che poi si propagherà alle città collegate con questa. Una delle curiosità del gioco è che i giocatori non giocano uno contro l’altro, ma insieme riflettono e concordano la strategia migliore per debellare i virus individuati.

 

Una versione analoga, ma con obiettivo opposto, è invece l’app Plague Inc., in cui lo scopo del giocatore è quello di creare un’epidemia che distrugga l’umanità, lavorando su agenti patogeni con abilità diverse. Nel tempo, per questo motivo, il gioco è stato oggetto di numerose critiche. Curiosamente, negli ultimi giorni, con l’esplosione del Coronavirus è tornato nuovamente uno dei giochi più scaricati (nonostante esista in commercio da ben 8 anni). Finalità opposte rispetto al precedente Pandemic, ma con una competenza richiesta comune: capire come funzionano le reti.

Fonte immagine

Dati, scienza e complessità

Le informazioni in circolazione dall’individuazione del Coronavirus 2019-nCoV sono state molte e in parte troppo legate all’emotività. Fortunatamente in questo periodo sono stati realizzati anche molti ottimi esempi di data journalism, utili per comprendere i dati.

Il reportage di Le MondeCoronavirus, Zika, Ebola… : quelles maladies sont les plus contagieuses ou les plus mortelles?” offre una grafico illuminante in cui sono messi in relazione la contagiosità e il tasso di mortalità di molti dei virus e batteri più noti: insieme al Coronavirus troviamo la SARS, ma anche rabbia, peste, morbillo, varicella.

Il New York Times, nell’articolo How Bad Will the Coronavirus Outbreak Get? Here Are 6 Key Factors mostra in un’animazione la propagazione del virus, nel caso di un tasso di diffusione medio-alto (se per ogni 5 persone infette, se ne infettassero a loro volta altre 2,6).

Questo richiama i famosi “gradi di separazione”, resi celebri dalla teoria del piccolo mondo dallo psicologo Stanley Milgram, secondo cui molte reti complesse sono configurate in modo tale che due nodi qualsiasi possono essere collegati da un percorso costituito da un numero relativamente piccolo di collegamenti.

Altra traduzione dei gradi di separazione è il numero di Kevin Bacon, che mappa il numero di salti necessari per collegare l’attore americano con qualsiasi altro attore che abbia girato un film (qui una breve spiegazione). Chi vuole provare in prima persona quanti sono i gradi di separazione tra gli attori di Hollywood, scoprirà che sorprendentemente una buona parte degli attori mappati (ad esempio Roberto Benigni nell’esempio qui sotto) hanno un numero di Bacon pari a 2: hanno cioè recitato con un attore che a sua volta ha recitato con Kevin Bacon.

Questa divagazione serve a sottolineare una proprietà di molte reti come le reti sociali o il World Wide Web: un’altissima interconnessione tra gli elementi, che rende possibile in pochi salti raggiungere anche un nodo apparentemente molto lontano da noi.

 

Caduti nella rete o senza rete?

Estremizzando, le dinamiche comunicative ed emotive manifestatesi durante le prime settimane di diffusione del Coronavirus sono sembrate molto vicine alla psicosi da disastro atomico in puro stile guerra fredda o Doomsday Clock, l’orologio metaforico che misura ogni anno quanto manca alla fine del mondo. Per la cronaca, per il 2020 è fissato alle 23:58:20, cioè un minuto e quaranta secondi alla fine del mondo; l’aspetto curioso è che la motivazione di questa preoccupazione è legata al riarmo nucleare e ai cambiamenti climatici. Probabilmente questa stima fatta ad inizio 2020, prima dell’esplosione del Coronavirus, oggi subirebbe un’ulteriore stima al ribasso.

 

In chiusura: i virus esistono sulla terra da ben prima dell’uomo stesso, e ci dobbiamo convivere. Abbiamo visto come in un mondo globalizzato, tutto si propaga più velocemente. Diventa fondamentale avere maggiore consapevolezza dei principi di base delle reti complesse, studiate dalla Scienza delle reti, diventata nell’arco di due decenni sempre più centrale per comprendere fenomeni biologici, fisici, sociali.

La diffusione del Coronavirus, come ci ricorda Annamaria Testa, rende plasticamente concreto il concetto di “effetto farfalla” sviluppato dal matematico e metereologo Edward Lorenz, e noto al grande pubblico nella formula “può bastare il battito d’ali di una farfalla in Brasile per provocare un uragano in Texas”. La metafora spiega come piccole variazioni nelle condizioni iniziali possono generare grandi effetti in un sistema deterministico non lineare (come ad esempio il meteo, ma potremmo mettere anche l’economia), rendendo difficile fare previsioni di lungo termine.

Immagine: Attrattore di Lorenz, un sistema di equazioni differenziali a bassa dimensionalità in grado di generare un comportamento caotico

L’effetto farfalla di questa storia potrebbe essere un nuovo virus locale che si trasforma in una crisi sanitaria nazionale (per ora) con effetti economici e politici globali. Dal mercato del pesce di Wuahn alle borse internazionali, nel giro di pochi giorni. Effetti di sistemi interconnessi su diversi livelli di scala, in cui crisi locali rendono visibili fragilità globali.

 

Il sito Strategic Intelligence, sviluppato dal World Economic Forum offre una mappatura interdisciplinare dei fenomeni a livello globale. Tra le tante preziose mappe, quella dedicata alla “salute globale” mostra, tra i nodi collegati anche “Pandemic preparedness and Response”, cioè la Preparazione e la Capacità di risposta ad una pandemia.

Fonte immagine

Anche in questo caso ritorna una rete di fenomeni interconnessi e interdipendenti tra loro: la salute a livello globale passa dalla prevenzione e dalla reazione preparata ai focolai di malattie ed epidemie.

 

In conclusione

Gli agenti patogeni si trasmettono da una persona all’altra; le nostre interazioni sono il social network attraverso cui viaggiano i germi. Ma la stessa rete di contatti può essere utilizzata per mappare il percorso che farà un virus, prima che ciò accada.

Essenzialmente, tutto ciò che abbiamo costruito intorno a noi è una rete. Questa consapevolezza può portarci a comprendere come gestire e cambiare il mondo che ci circonda. E magari a creare modelli previsionali, partendo dal tracciamento dei percorsi compiuti dai virus, per prevedere dove, come e quando le epidemie scoppieranno.

La scienza delle reti è (ancora) all’inizio di una rivoluzione: riconoscere pattern, cioè schemi e comportamenti emergenti in un sistema, che sia esso biologico, sociale o tecnologico. Molti dei sistemi che ci circondano sono sistemi complessi come ad esempio le cellule, il cervello, la società, Internet. Diventa possibile riconoscere l’ordine che emerge da comportamenti apparentemente casuali di milioni di elementi connessi, le cui interazioni ne permettono il funzionamento. Il potere predittivo reso possibile dalla Scienza delle reti applicata ai modelli epidemiologici potrebbe aiutare a combattere sia questa pandemia in corso, sia le prossime future.

 

Una volta compresi i meccanismi di diffusione di epidemie (biologiche) e infodemie (comunicative), quali tipi di azioni sono possibili per fermare (o almeno circoscrivere) la catastrofe?

Quello che possiamo fare sia per una, sia per l’altra, è un atteggiamento prudente: prendere sul serio (sia il virus, sia le informazioni che arrivano) ma senza drammatizzare più del necessario.

Il virus si propaga secondo meccanismi di rete; essendo consapevoli che finora a livello internazionale sono stati messi in atto adeguati meccanismi di quarantena, possiamo (per ora) essere confidenti del fatto che il rischio di un contagio esteso globale su larga scala è estremamente ridotto, per poter parlare di Pandemia.

Ugualmente, possiamo essere contagiati dall’infodemia di informazioni non accurate, incomplete o false che possono amplificare gli effetti di un problema, se non facciamo attenzione.

In questo caso, abbiamo la possibilità di “vaccinarci” attraverso l’uso del pensiero critico: verificare l’origine delle notizie che arrivano e allargare il numero delle nostre fonti, cercando di comprendere quali meccanismi ci sono dietro alla loro diffusione. Il medesimo discorso vale ora per il Coronavirus, ma fino al mese scorso era sul climate change (temporaneamente uscito dal “radar” dei media).

Sebbene il numero di contagiati potrebbe essere ancora la punta dell’iceberg, l’epidemia del coronavirus probabilmente tra alcuni mese tornerà sotto controllo (così come sono passate la Sars, l’aviaria e l’H1N1 negli anni passati). Analogamente dovremo abituarci alle ondate, continue, di infodemie, cioè ondate di false notizie (o meglio notizie che si accordano con il punto di vista soggettivo di una specifica nicchia) che si propagano nella nostra vita on line; ma che poi possono avere conseguenze nella vita off line. Come ad esempio i comportamenti razzisti e xenofobi.

 

Per assurdo, potrebbe essere più facile curare l’epidemia dell’infodemia. Per la seconda, il vaccino sta nel comprendere la complessità di questi fenomeni globali e accettare una visione sistemica di un mondo interconnesso nel quale (salvo un isolamento totale) è molto difficile stare fuori invocando frontiere chiuse.

 

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